Di sicuro, non smetterai di fumare nemmeno questa volta.
Ma sapere di potertelo rimproverare ancora, mi ha
fatto volare.
Ti voglio bene nonno,
solo chi cade può risorgere.
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bella Dan, sto sentendo ‘il campione’ mentre bevo uno Yoga Tasky. Gusto ace. Che dire, è un po' come cogliere una goccia d'acqua in fondo ad un cratere che vedevi vuoto. Mi sono sentito davvero distante dalle vostre, tue, deviazioni musicali di questi tempi. Un po’ per scelta, un po’ per inerzia; si cresce, si cambia, tutti un po' ci si adatta. Possono essere generalismi del cazzo, lo so. Per me eravate unici, ed ero convinto sareste emersi rimanendo sempre novità di voi stessi. Sempre con le due dita alzate . E' cambiato tanto invece, e molto altro non l'ho apprezzato. Ma questo pezzo l’ho colto come rivalsa, di non avere mai avuto torto almeno su una cosa: il talento non sparisce dietro ad un #enjoy e, come mi suggerivano i tempi di " dimmi cosa credi, dimmi per chi preghi / magari ti fai una vita stando attento agli sprechi" , i testi possono esserci pur senza rimanere un passo indietro sulla sonorità. Eravate così, voi. E&
È venuto a mancare il nostro medico curante. Per i miei era un totem. Li prese adolescenti e loro sono cresciuti con lui. Me lo hanno sempre trasmesso, anche a me, come uno di famiglia. Gli volevamo bene. Scrissi qua sotto di come da piccolo incontrai Buffon quando non ero che un bambino con gli occhi pieni di lui. Tutto questo non sarebbe mai avvenuto se non per questa persona; era bianconero e, da presidente di club, amava organizzare eventi che ospitassero i campioni anche nella nostra, provinciale, realtà cittadina. Ho avuto modo anch'io di conoscerlo e di esserne paziente. Sempre cordiale, chiacchiere sulla Juventus, sulla vita. Mi chiamava giornalista come se lo fossi, si ricordava sempre. Trovava l'occasione di tenderti una mano implicita. Personalmente, di lui ho il ricordo nitido ad una delle mie prime feste scudetto. Ero piccolo, ancora viandante nel tifo. Lo vidi in cima alla scalinata della nostra piazza esultare come un matto, salutandomi v
La mia prima Finale la vidi a nove anni. Old Traffod, Milan - Juventus. In tv, eh . Non mi allacciavo ancora le scarpe da solo, non soffrivo ancora le vertigini, ma per imitare Buffon mi spaccavo ginocchia e gomiti la Domenica in campagna. Un anno dopo mi avrebbe firmato la maglia. Ce l’ho ancora. Mio nonno, invece, quel rigore di Sheva me lo rinfaccia. Ancora. Con mio padre ci eravamo promessi che quella dopo l’avremmo comunque rivista assieme, come per dire “eddai, tanto la prossima la vinciamo”. Un cazzo, invece. L’ho capito a ventuno anni che il cielo non è sempre blu sopra Berlino. Per ora, dunque, sono due tendenti al tre. Una la capì poco, l’altra la somatizzai forse troppo, nel prima e nel suo immediato dopo. Che caldo faceva in quel bazar cinese due anni fa? E perché dovevo ancora dare il primo esame? Niente, ho ventitré anni. Quest’anno la vedo da un amico. E la filmo, forse è quello il problema.
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